28 aprile 2017

28 aprile 1945."Loreto prima e dopo Dongo".


Davvero sono stato fortunato a conoscere simili uomini, ascoltare la loro voce, guardargli negli occhi, stringerle le mani. Ed oggi 28 aprile 2017, come doveroso omaggio a tutti loro. Vi riporto le parole scritte ed ascoltate da Paolo su quei giorni ormai lontani. 28 aprile 1945 Milano.  - Ivano Tajetti. - 

Tratto da: 
LA TRAVERSATA  Settembre 1943 - dicembre 1945
Paolo Murialdi. - Società editrice il Mulino - Intersezioni. 



Pag 89. Loreto prima e dopo Dongo.


Sbuchiamo in Piazzale Loreto, dove l’anno prima i tedeschi hanno fatto fucilare 15 antifascisti lasciandone a lungo i corpi per terra, contro quella staccionata che vedo a sinistra. Il nome di questa piazza non mi è nuovo perché c'è un grosso albergo che si chiama proprio Loreto perché era stato il teatro di spassosi racconti dei miei amici genovesi che partecipavano ai Littoriali dello sport. Ora è tutto diverso. C'è folla. Edoardo e Fabio, comandante dei garibaldini lombardi, salgono sul tetto della cabina di un camion per un saluto alla libertà e alla sconfitta del fascismo. Aria e coreografia da rivoluzione. Ma i discorsi durano poco perché un cecchino  - chissà da quale casa - spara alcuni colpi di moschetto. I nostri rispondono all'impazzata. Un bailamme che dura alcuni minuti, ma nessuno è stato colpito. Ci rimettiamo in moto. Una parte della colonna fa via Gran Sasso, piazza Piola, viale Romagna, fino al grande edificio delle scuole, quasi a Piazzale Susa. Quelli della Casotti percorrono strade contigue. Da una parte e dall'altra spari di tedeschi e di fascisti. Ce n'è asserragliati nella Casa dello Studente. Basta qualche colpo di bazooka per la resa. Nelle scuole dove ci hanno condotto non c'è niente è per noi che siamo stanchi e affamati. Non abbiamo portato, viveri l'intendente Franco dice che domani andrà a prenderli. Alla fame provvedono con slancio commovente gli abitanti delle case popolari di via Beato Angelico. Ci invitano nei cortili, e ci danno tutto quello che hanno. Ricordo una donna che mi venne incontro tendendomi un uovo. Per il sonno arrivano balle di paglia. Le due stanze del portiere sono la sede ideale del comando. Ci sono una branda e una poltrona e c'è il telefono. Siamo in due perché Albero e in giro per la città e poi andrà a casa sua. Con una telefonata comincia un evento eccezionale che ingrandisce inaspettatamente la lunga avventura vissuta dai partigiani dell'Oltrepò. Il generale Cadorna convoca Edoardo e Maino al palazzo del comando militare in via del Carmine. Saranno state le nove di sera. Dopo un'ora o poco più squilla il telefono. Edoardo mi dice che bisogna formare un drappello per una missione importante e delicata. “Sveglia Ciro è cominciata scegliere una dozzina di uomini. Cercateli tra i giovani di montagna, sono meno emotivi. Torno e ti dico il resto”. Il resto è più grosso del Monte Bianco: eseguire le condanne a morte di Mussolini ed è gerarchi di Salò catturati sul lago di Como. La missione è affidata al colonnello Valerio del comando generale. A guidare i nostri  - aggiunge - deve andare Riccardo: un compito come questo tocca e spetta all'uomo che combatte il fascismo da tanti anni. Completiamo il plotone dei 12 partigiani e a Riccardo si unisce Piero. Scelgo il camion scoperto della Ovest Ticino. Gli uomini ci stanno stretti ma è veloce, il più veloce degli automezzi trovati lungo la strada. Fare presto è importante; e dalle prime luci il tempo promette bene. A questo punto - saranno state le sei del mattino - viene a galla un malinteso che è frutto della confusione che regna sia al comando generale sia in quello, modesto dell'Oltrepo: ho mandato il drappello in via del Carmine mentre Valerio arriva in viale Romagna. Scende da una 1100 nera coi parafanghi dipinti di bianco. Indossa una giacca vento grigia dei brigatisti di Salò, sulla quale spiccano i gradi partigiani da colonnello: un rettangolo di panno rosso con due stelle dorate. Porta il basco che tutti vedranno quando si svelerà come il fucilatore del duce. Imbraccia un mitra. Sul sedile posteriore della 1100 c'è un uomo che indossa un impermeabile bianco. Porta gli occhiali da vista e appare disarmato. Non scende. Ci salutiamo con un gesto. Nel frattempo i nostri tornano da via del Carmine. Quando vede il camion Valerio comincia a urlare che è piccolo. Rispondo che basta e che è veloce. Nasce un alterco. Lui è adirato e io non posso capire il perché. E urlo. Lui vuole parlare con il comandante ma Eduardo non c'è. È andato alla periferia della città per togliersi la soddisfazione di dare il benvenuto a Moscatelli e accompagnarlo nel luogo deputato: piazzale Loreto. L'uomo rimasto in ombra sollecita Valerio a smetterla e a partire. Vanno. Saranno state le 6.30. Basta questo particolare per capire che il partigiano della spedizione che conta di più è l'uomo dell'impermeabile bianco. A metà giornata del 28, mangiando il pane e salame importato dall'Oltrepo, Edoardo mi racconta alcuni particolari dell'incontro con Cadorna, Longo e gli altri del comando. Dice di aver dato a Maino un calcio in uno stinco perché temeva che stesse per dire a Cadorna che sarebbe andato lui a Dongo: come un atto dovuto da un tenente delle batterie a cavallo (di complemento ma di quale reggimento!) a un generale cresciuto nella Cavalleria. Ma la scelta è già fatta. Cadorna indica Valerio. È un aiutante di Longo, vice comandante con Maurizio del CVL. Avremo la conferma delle designazioni il 5 maggio, alla sfilata dei partigiani nelle vie di Milano. Sia Valerio sia Guido - questo il nome di battaglia dell'uomo che indossava l'impermeabile bianco - sfilano alla testa del corteo, ma il secondo e alle spalle di Longo. E’ il suo vice. Mi colpisce un particolare: L'importanza fondamentale del telefono nella vicenda finale di Mussolini. La notizia della cattura era arrivata Milano attraverso due telefonate. La prima dalla casermette della Guardia di Finanza a Germasino, dove avevano fatto sostare il duce prigioniero, l'altra da una centrale elettrica. Senza il telefono in funzione che piega avrebbero preso la conclusione della tragica storia del fascismo? Inglesi e Americani stavano correndo verso Lecco e loro agenti - è noto  - erano già a Como. Per ore e ore non sappiamo più nulla dei nostri. Il 28 è una giornata frenetica per i Milanesi e per i partigiani. Ce n'è dappertutto, ora. In piazza del Duomo parlano Pertini, Moscatelli e Bonfantini, che è il comandante delle brigate Matteotti. A noi ci portano a radio Libertà, all'ultimo piano di una palazzina che riconoscerò più tardi. È in via Telesio. I fascisti ci avevano installato radio Tevere che era molto ascoltata dai giovani perché trasmetteva molte canzoni e musica da ballo. Edoardo e io raccontiamo qualcosa con emozione e foga. I giornali di partito, già usciti il 26, vanno a ruba. Non c'è il “Corriere della Sera” la cui diffusione è stata bloccata dal Prefetto nominato dal CLN. Vicino a viale Romagna c'è il comando dell'Aeronautica. Si arrendono e consegnano un bel po' di soldi che portiamo al Comando generale. Non si arrendono, ma non è una sorpresa, le SS chiuse nell'Hotel Regina (che non c'è più) E i Marò della 10ª Mass asserragliati in un edificio moderno in Piazza Fiume (poi Piazza della Repubblica) davanti al quale hanno innalzato sbarramenti con filo spinato e sacchetti di sabbia. Aspettano gli Alleati. Passo molte ore nella scuola per tenere dei collegamenti. Siamo in ansia per la spedizione di Dongo conosciuta da pochi comandanti.  La notizia arriva alle prime luci del 29; per telefono, naturalmente. È una notizia bomba che mi coglie - come dire - impreparato.. Con voce rotta uno dei nostri dice: “Siamo in Piazzale Loreto con i cadaveri dei fucilati.” Edoardo, io e il Moro saltiamo nell'auto gialla. Piazzale Loreto non è lontano. C’è già parecchia gente che impreca e cerca di raggiungere i cadaveri. Altra gente arriva dalle grandi strade. Ma il Moro riesce a portare l'auto fino alla cordonatura del marciapiede, proprio di fronte al punto in cui giacciono i corpi di Mussolini e di Claretta Petacci.  Da una parte e dall'altra altri cadaveri. Alzandoci in piedi vediamo l'intero, sconvolgente spettacolo. La presenza della Petacci è una sorpresa. Si capisce in un lampo che aveva raggiunto Mussolini in fuga pagando con la vita la sua fedeltà e il suo ruolo di favorita del dittatore. Se non fosse stata lì non avrebbe dovuto morire; ma era al fianco di Mussolini. Non avevo mai visto il duce da vicino. Una volta, di sfuggita mentre passava in auto durante l'ultima visita a Genova. Ricordo bene il fanatismo dipinto sul viso di alcune donne accanto a me. Da morto ha gli occhi semichiusi, come se guardasse lontano. La mano del braccio destro ripiegato all'indietro regge un'asta di nichel lucente che termina con l'insegna dorata di Salò. Sul suo petto e appoggiata la testa di Claretta in camicetta bianca e sottana nera. Tra gli altri fucilati distinguo Pavolini, Barracu e Mezzasomma. L'insieme risponde, con un effetto tragico, alla scelta di gettare nella polvere il dittatore, la sua amante e i suoi scherani e di mostrarli alla folla. Sui corpi si vedono i segni dell'ira e degli oltraggi -  calci, sputi, colpi di rivoltella - che di lì a poco riprenderanno gli operatori americani di “Combat Film” e che vedremo sui teleschermi quasi cinquant'anni dopo. I nostri ragazzi appaiono inebetiti per le emozioni, le paure, la stanchezza. Sparano in aria per cercare di tenere lontana la folla. Edoardo fa chiamare i pompieri, ma ne i colpi dei moschetti ne il getto dell'acqua sono sufficienti. Ritiriamo i nostri lasciando ad altri partigiani il posto vicino a quel marciapiede. Di Moscatelli? Di Bonfantini? Non so. Così come non saprò mai chi decise di appendere al traliccio del distributore di benzina fuori uso i corpi di Mussolini, della Petacci e di quattro gerarchi. Si dice che sia stato fatto per mostrarli alla folla che ormai stipava anche le strade di accesso al piazzale e far vedere che il dittatore era proprio morto. È probabile. Ma è certo che scontiamo ancora oggi il giudizio di spettacolo raccapricciante e vergognoso da parte di molti Italiani e stranieri tutte le volte che si riparla della morte di Mussolini o si rivede quell'immagine. D'altra parte, in Italia, per riparlare di quell'evento basta poco. Basta dire che il mitra fatale si trova nel tal paese oppure che sparò anche una rivoltella. Notizie come queste  - sovente inventate - fanno il giro d'Italia sui giornali. E si torna a citare piazzale Loreto. È vero che ciò che accadde in quel 28 aprile fra Bonzanigo e Giulino di Mezzegra forse si continuerà a non sapere tutta la verità. Allora, dai partigiani dell'Oltrepo che erano partiti con Guido e Valerio ascoltammo racconti di seconda o di terza mano perché il drappello era rimasto a Dongo con Riccardo. Forse lassù era salito Piero ma né lui né i testimoni lo dissero. Non è un quesito importante ma me lo sono posto sovente: perché il Partito Comunista, tanto abile e attento, ha gestito cos’ male la storia della fine di Mussolini?  Prima il silenzio, poi le ammissioni e il libro di Valerio poi le rettifiche le precisazioni. Non ho letto tutto quello che è stato pubblicato sulla vicenda. Ma qualcosa ho letto. E mi sono fatto l’idea che la versione più attendibile sia quello di Guido, l’uno dell’impermeabile bianco. L'aveva scritta nel 1972 e l’aveva consegnata ad Armando Cossutta. L’ “Unità" la pubblicata il 26 gennaio 1996, alcuni anni dopo la scomparsa dell’autore, a cinquant'anni dalla morte di Mussolini. I nostri tornano in Via Romagna con il vecchio e sinistro camion da traslochi che Valerio aveva cercato affannosamente a Como perché con quello scelto da me non avrebbe portato neppure una persona in più. La decisione di trasportare i cadaveri a Milano, in quel piazzale che era già luogo deputato della lotta antifascista, evidentemente era stata presa prima. Da chi? Da Longo quasi certamente. È un camion grigio scuro, senza scritte, sporco e con feritoie orizzontali sui due lati. Doveva essere stato trasformato così da una brigata nera per i rastrellamenti. Una vista in fondo fastidiosa. Non per la morte di Mussolini che non c'entra. Si sapeva che se fosse finito nelle mani dei partigiani sarebbe stato fucilato. Ne eravamo tutti consapevoli e, credo, convinti. E non c'entra neppure la morte di Claretta Petacci che si era aggrappata all'uomo che amava follemente e così non poteva che essere vista come la favorita del dittatore. Era fastidioso il pensiero di tutti quei corpi buttati tra i piedi dei partigiani del plotone di esecuzione nel rocambolesco viaggio tra Dongo e Milano e degli oltraggi perpetrati da una folla imbestialita. Quante cose e disparate accadono intorno a me in quei giorni di Milano liberata e ora percorsa dalle Jeep degli ufficiali americani e dei neri della Military Police. I tedeschi si sono tutti arresi e gli alleati arrivano al Brennero. Fiorentini ha ricevuto una lezione ma anche la gogna di una gabbia da Stradella  a Varzi. Vengono a dirmi che c'è un morto sul marciapiede di piazzale Susa E si scopre che è Carlo Borsani, il cieco di guerra, cantore di Salò, Chi la ucciso? Chi lo ha portato la? Qualcuno dei nostri, ma nessuno parla. Vado a trovare l'unico amico genovese che vive qui e si diverte a chiedermi quando comincerà la guerra fra gli Angloamericani e i sovietici. I primi segnali del - chi n’ebbe n’ebbe - me li danno una bella ragazza genovese e un ex compagno di scuola. La ragazza si era dedicata agli agi degli ufficiali nazisti e ora  - la vedo scorrazzare in jeep - si gode gli agi degli ufficiali americani: il mio ex compagno di scuola ha fatto borsa nera ad alto livello, è diventato ricco e così è riverito. Sono cose che colpiscono il mio moralismo in giornate di libertà e di grandi speranze. E di contentezza perché so che mia madre sta bene e che mio padre lavora a Roma nel quotidiano della Confederazione del lavoro, dopo la fuga a Napoli. Stiamo a Milano fino al 5 maggio, giorno della sfilata. Abbiamo lasciato la paglia della scuola ritorniamo sparsi in piccoli alberghi nel quartiere della stazione. In giro ci sono battone non più condizionate dal coprifuoco. Nell'albergo dove dormo assisto a una scena da film americano: due neri della Military Police, chiamati per calmare un commilitone ubriaco e urlante, lo stendono con un uppercut e ne trascinano il corpo per il corridoio e le scale. Incontriamo corrispondenti di guerra inglesi e americani, (il più noto e Cecil Sprigge) e italiani. Uno, Gino De Santis, conosce bene mio padre e le dirà per primo la notizia che sto bene e che sono un partigiano. La sfilata passa nel centro della città: il Corso tra le macerie, Piazza del Duomo, via Dante. Il palco con un generale Americano è stato innalzato davanti al castello Sforzesco. In testa c'è il comando del CVL con Cadorna al centro fra Parri e Longo. Cadorna sfoggia un abito sportivo con i calzoni alla zuava e calzettoni a scacchi scozzesi. Davanti al comando dell'Oltrepò porta la bandiera la staffetta Susi. A tutti i tricolori della nostra brigata abbiamo tagliato lo stemma sabaudo. Le bandiere bucate sono il nostro voto anticipato per la Repubblica. Anni dopo leggo un racconto di un ragazzo di Salò, Carlo Mazzantini, e scopro che nel suo reparto, subito dopo l'8 settembre, avevano bucato le bandiere. Niente di grave, per carità, perchè il loro no ai Savoia era di rabbia e assecondava i nazisti, i nostro era ormai l’aspettativa di democrazia. Si è conclusa la mia guerra contadina. Ho compiuto il primo tratto - quello forte che può cambiare la vita - del mio viaggio di formazione dalla giovinezza alla soglia della maturità. Torno in Oltrepò, alla mia seconda Voghera. 

24 aprile 2017

Io grido Libertà. Buon 25 aprile...

Paglia piena di pulci per dormire
e castagne e mele da masticare
scarpe rotte
per correre e attaccare
il mio fucile come compagno
un cielo pieno di stelle per sognare
le lacrime per i torturati giù al paese
la rabbia per le camicie nere
ecco… una foglia verde
sul ramo della quercia
che mi cullerà
che mi nasconderà di nuovo
ai fascisti infami traditori
arriva l’Aprile
il freddo scappa e l’aria brilla
nel sole
fischia il vento e io rido
e io grido LIBERTA’.

Ivano Tajetti. 25 aprile 2017. 




21 aprile 2017

Nota del Presidente ANPI Barona Milano.

Vorrei che il 25 aprile sia Festa... 

Vorrei che il 25 aprile sia Festa, sia abbracci e sorrisi, sia Bella Ciao e tenersi per mano. Vorrei che urlare “contro” e che contrapposizioni di ideali e pensieri leciti, (dunque niente fascismo, nazismo, razzismo che sono la negazione del 25 aprile) quel giorno si prendano un giorno di tregua e che nelle piazze e nelle strade si trovino insieme, uniti, ricordando, commemorando, attualizzando il significato vero di Resistenza, Liberazione, Costituzione. Altro in quel giorno non serve, essere contro, portare rancore, odio, divisione cercare spazio, l’articolo sul giornale, l’immagine in televisione, in quel giorno sono solo mezzi meschini e che nulla hanno a che fare con il significato vero del 25 aprile. E chi dice il contrario ragiona come sempre solo per il proprio io, e non per il NOI. Vorrei che il 25 aprile abbracciassimo una Partigiana un Partigiano, un abbraccio di grazie, un abbraccio d’ascoltare il proprio cuore che palpita all’unisono. Vorrei che il 25 aprile l’appartenenza sia solo quella di essere uomini e donne liberi, e ricordarsi il perché e grazie a chi. Vorrei che il 25 aprile nei cortei, nelle manifestazioni, tutti, tutti insieme Noi che ci riconosciamo nella Resistenza ci tenessimo per mano, semplicemente senza “usare” il ricordo, la memoria. Vorrei che non si pensi e non si usi retorica, innaturali equiparazioni, strumentalizazioni, la Liberazione era “Per dignità e non per odio”. Vorrei che sempre, ma almeno in quel giorno non si permetta ai fascisti, ai razzisti di sfilare con i loro lugubri segni di morte e odio, in nessun luogo, in nessun posto, senza se e senza ma. Vorrei che mille aquiloni colorati ci sorprendano in un cielo terso, pulito dal vento che da allora soffia e che mai si fermerà. Vorrei che il 25 aprile Festa Nazionale sia un giorno di memoria, di radice, di festa e di gioia. Vorrei il sorriso di un bimbo che guarda senza paura un futuro per lui e i suoi amici, Vorrei un giorno di pace. Vorrei che sia un giorno per sognare cosi forte che il buio si nasconde, Vorrei un giorno di Compagne e Compagni #IOSONOANPI “Perché noi Partigiani abbiamo combattuto per chi c’era, per chi non c’era e anche per chi era contro.”

ANPI Comunicato Stampa. 25 APRILE 2017.

COMUNICATO STAMPA
La Segreteria Nazionale ANPI: "E' in atto una vergognosa offensiva contro l'ANPI. Si salvaguardi l'unità del 25 aprile"
Il 25 aprile è diventato, a Roma, l’occasione per discussioni pretestuose e per attacchi nei confronti dell’ANPI.
Ce ne dogliamo molto, perché la Festa della Liberazione dovrebbe essere unitaria e concentrata sui ricordi, sui valori, sul presente e sul futuro.
Nella convinzione che si tratti di una delle giornate più significative ed importanti per la storia del nostro Paese, lasciamo da parte le polemiche sulle quali torneremo, semmai, in seguito, anche per cercare di indurre certi incauti commentatori politici a vergognarsi delle loro offensive elucubrazioni.
Adesso, il problema vero è la riuscita della manifestazione a Roma, come in tutto il resto d’Italia. Noi speriamo sinceramente che ognuno ci ripensi, sia che si tratti della Comunità ebraica, sia che si tratti del Partito Democratico, al quale vogliamo solo ricordare che non è il corteo ad essere divisivo (ché anzi è stato immaginato e costruito come assolutamente unitario). E che la tradizione di ogni partito che si rifaccia alla democrazia non può che essere quella del rispetto dei valori unitari della Resistenza e della valorizzazione di queste pagine, tra le più belle della nostra storia.
L’ANPI nazionale ha invitato tutte le organizzazioni periferiche a dar vita a manifestazioni imperniate sulla Resistenza, sulla Liberazione, sull’antifascismo e sulla piena attuazione della Costituzione. Il nostro fermo desiderio è che ciò avvenga in modo unitario e con una partecipazione massiccia, talché anche eventuali dissidenze (di cui saremmo comunque assai dispiaciuti) risultino secondarie e accessorie rispetto alla grandezza corale di un giorno di festa che è e deve essere di tutti.
Di qui il nostro fermo invito, a nome dei combattenti per la libertà, che rappresentiamo e rappresenteremo sempre, checché ne dicano certi articolisti che ignorano i principi affermati anche da numerose sentenze, è rivolto a tutti gli italiani e a tutte le italiane, da Roma a Milano, da Reggio Calabria a Torino, da Palermo a Bologna perché partecipino in massa e con entusiasmo ad una giornata dedicata ai valori fondamentali della Carta Costituzionale e dunque della nostra stessa convivenza civile.
Le bandiere fondamentali saranno quelle della Pace e della Resistenza; chi intende disturbare sarà isolato pur con i mezzi limitati di cui disponiamo. Le partigiane e i partigiani che hanno combattuto a fianco delle brigate ebraiche nel Ravennate, con l’Ottava Armata, non tollereranno che ad esse si manchi di rispetto, perché esse saranno presenti – lo auspichiamo – a pieno titolo. La piazza è di tutti, in un giorno di festa nazionale, ma a condizione che tutti usino rispetto per le idee degli altri, riguardo per la Resistenza, amore per la Costituzione.
LA SEGRETERIA NAZIONALE ANPI
Roma, 21 aprile 2017

ANPI zona 3 Milano/Ortica - Ma Mi Festival Popolare...


ANPI Magenta (Mi) Gli Anarchici nella Resistenza.


ANPI - Divisivo e chi sceglie di NON partecipare.


12 aprile 2017

ANPI Cernusco sul Naviglio - I colori del 25 aprile...


Bella CIAO Partigiano Mirko. Giuseppe Dozio.

Un altro Partigiano se ne andato. Bella Ciao Mirko.                                                          E' morto stanotte 12 aprile 2017 il Partigiano Giuseppe Dozio "Mirko". La Sezione ANPI della Barona e tutta l'ANPI Provinciale di Milano ti è riconoscente, e ti ringrazia per tutto quello che hai fatto per noi. Alla famiglia, agli amici, ai Compagni dell'ANPI Quartiere Olmi, Baggio di Milano le nostre più sentite condoglianze e un forte abbraccio. 
Tratto da " Libertà tra i Navigli. La Resistenza in Barona, Lorenteggio, Giambellino, Porta Genova. Milano. Pag. 101/102. 
Giuseppe Dozio “Mirko” 
"Nasce il 10/12/1928 e abita con la famiglia a Lambrate (il papà calzolaio era già un noto antifascista). Nel 1937 la famiglia si trasferisce alla Barona, in via Ovada 3, dove Giuseppe cresce con gli altri ragazzi delle case popolari. Agli inizi del 1944 il comandante della 113a Brigata Garibaldi Luigi Maradini, anche lui abitante in via Ovada 1, raggruppa questi ragazzi (oltre a Giuseppe, fra gli altri, c’erano Idelio Fantoni, Luigi Monasso, Pasquale Schettino, Silvio Valli) con altri Partigiani dando vita all’8° Distaccamento Barona. Giuseppe partecipa ai volantinaggi, ai disarmi, ai sabotaggi (noto quello ai binari del tram 12 durante gli scioperi del marzo ’44). Per il suo coraggio entra in contatto con i G.A.P. svolgendo attività di supporto nel trasferimento di armi. Individuato dalla polizia fascista è costretto a lasciare Milano nel mese di aprile e raggiunge la zona della Val d’Ossola. Entra a far parte delle formazioni Garibaldine (la futura 85a Brigata “Valgrande” parte della Divisione mista “M. Flaim”) che opera nella Val- grande dove combatte sino ai giorni della Liberazione con il nome di battaglia “Mirko”. Dopo aver partecipato alla Liberazione di tutta la zona costiera del lago Maggiore da Cannobio a Intra Pallanza, entra trionfalmente in Milano con le formazioni comandate da Cino Moscatelli e Aldo Aniasi (Iso). Ripresa la vita normale in via Ovada partecipa con gli altri Partigiani all’attività della sezione Barona dell’ANPI. Entra a lavorare all’A.T.M. nel 1950 partecipando all’attività politica e sindacale sino al momento della pensione nel 1974. Nel 1953 si sposa con Baldisan Gabriella conosciuta a Intra nei giorni della Liberazione. Fatto curioso è che a celebrare le nozze sia stato il monsignore che aveva tenuto nascosto Giuseppe al suo arrivo a Intra prima di salire in montagna. Oggi vive a Baggio, nel quartiere degli Olmi, dove si è trasferito con la famiglia nel 1967, continuando la sua partecipazione all'attività dell'ANPI di zona."

Contro ogni parata nazifascista PORTA UN FIORE AL PARTIGIANO.


ANPI Sedriano/Vittuone - Carlo Chiappa il Partigiano Abele...


Tante facce della Memoria...


ANPI Cinisello Balsamo -



11 aprile 2017

ANPI news n° 242.






La storia sulle strade, voci e volti. ANPI Barona Milano.

In questi giorni la Barona è attraversata da giovani ragazzi e ragazze con il naso in su, a guardar lapidi ed ascoltare racconti... Quasi 400 alunni con il loro Professori, escono dalle aule e s'inoltrano nelle Vie e nelle Piazze. "Qui c'era un fosso, qui un prato, li si è combattuto, qui abitava una giovane donna che voleva la libertà, qui è morto un Partigiano" I vecchi Partigiani che entravano nelle scuole, e raccontavano la loro vita, non c'è ne sono più o quasi... e allora tocca a noi eredi, noi ANPI. Da qualche anno portiamo i giovani sulle strade della zona dove c'è la loro scuola... risultati notevoli, numeri sempre in crescita, attenzioni e domande particolari accompagnano queste mattine di cammino, piccole storie che hanno fatto la Storia Grande..! Il nostro 25 aprile non si ferma alle commemorazioni alle manifestazioni, ma fa vivere la storia, la geografia, regala emozioni e riflessioni. La Memoria batte nel cuore del futuro.!


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